Ti Manca Il Tempo Per Fare Le Cose? La Psicologia Ti Dà Una Mano

Il tempo: una risorsa preziosa

Nella nostra società il tempo è una tra le risorse più preziose che abbiamo. Per le aziende essere i primi ad immettere un nuovo prodotto sul mercato è fondamentale, abbattere i tempi di produzione, velocizzare i processi di vendita.

I top manager spendono la loro vita per essere veloci, tanto quanto gli è richiesto dalle aziende. Le prestazioni dei professionisti sono basate su tariffazioni orarie e le aziende che si occupano di trasporto fanno leva sulla velocità degli spostamenti che offrono.

Non solo il business è incentrato sul tempo, ma anche ognuno di noi ha la vita organizzata e scandita dal tempo.

Alcune volte mi servirebbe una giornata di 48 ore!

Quante volte vi è capitato di dirlo? A me, spesso. Manca il tempo!

Ad esempio, quando ho avuto l’impressione di non aver concluso tutto quello che mi ero prefissata di fare in un certo giorno. Ed arriva poi la frustrazione, per non essere stata in grado di portare a termine tutto, di aver perso tempo, accompagnata dai rimorsi “potevo evitare di andare a prendere il caffè al bar con i colleghi….”. E immancabilmente il giorno dopo, sentirmi in affanno per dover recuperare le cose da fare lasciate inconcluse, mentre i miei obiettivi sembrano essere sempre più lontani.

 

Basta, così l’ansia arriva alle stelle!

“Noi tutti abbiamo bisogno di dare una struttura al nostro tempo perché questo ci dà la sensazione di vivere davvero, di essere padroni del nostro tempo” (De Luca, Spalletta, 2011, pag 59).

Esattamente ciò che ho compreso ed iniziato a mettere in pratica. La spinta motivazionale al cambiamento, la benzina che alimenta il motore, è stata la voglia di raggiungere le mie soddisfazioni, come quando si vuole arrivare al traguardo, veloce e vincente come lo sprint finale in una corsa di moto.

Perché?

  • Per sentirmi libera dall’ansia;
  • Per non provare più la sensazione di affanno.

Come?

  • Prendendo coscienza che la giornata si può organizzare in modo più strutturato;
  • Imparando ad utilizzare l’agenda per gestire il mio tempo.

 

Di cosa è fatta una giornata

La giornata è fatta anche dagli imprevisti, piacevoli o antipatici che siano.

Prendere il caffè con un amico che non si vede da tempo, è bello e fa piacere.

La ruota della macchina che si buca mentre si va a fare la spesa… beh, è spiacevole e può succedere.

L’utilizzo dell’agenda ci aiuta ad organizzare la giornata, quindi è necessario annotare i nostri impegni, scanditi da orari stabiliti, lasciando un margine di tempo tra l’uno e l’altro e, ancor più importante, lasciare del tempo per gli imprevisti.

Gestire bene il tempo aiuta l’autostima

La gestione del tempo va ad impattare anche sullo sviluppo del nostro empowerment e sull’autostima (Giusti, Testi, 2006; Wolfe, 2007).

Tra i nostri amici, familiari o colleghi ci sarà capitato di notare una persona con delle chiare difficoltà nella gestione del proprio tempo, magari pensando “che disastro”, e vederla peggiorare negli anni.

Probabilmente, le giustificazioni che questa persona fornisce per i suoi insuccessi non sono scuse e non sono bugie, ha semplicemente bisogno di imparare a conoscere e gestire una risorsa tanto preziosa che in realtà le fa provare ansia.

Una tecnica: scegli e monitora i tuoi obiettivi

Ci sono diverse tecniche ed accorgimenti che si possono mettere in pratica, ad esempio si può procedere facendo “La lista dei miei obiettivi” (Gambarasio, 2007): si scelgono e si scrivono cinque obiettivi da raggiungere per i sei mesi successivi, mettendoli in ordine di priorità.

Priorità Obiettivo
1.           
2.           
3.           
4.           
5.           

 

Fatta la lista, si procede con il monitoraggio del processo, rispondendo alle seguenti domande:

  • Cosa voglio ottenere?

  • Quali sono i miei obiettivi?

  • Quali sono le mie priorità?

  • A cosa d’importante dovrei dedicare il mio tempo?

Attraverso l’introspezione possiamo mettere in primo piano ciò che realmente vogliamo ottenere, consapevolmente, con le risorse di cui disponiamo.

Il tempo può dare molto di più, il tempo è vita, è gioia, è soddisfazione, è amicizia, è piacere.  


Bibliografia

De Luca K., Spalletta E., (2011), Praticare il tempo. Manuale operativo per ottimizzare la vita personale e professionale,Sovera, Roma.

Gambarasio G., (2007), Più risultati in meno tempo, Franco Angeli, Milano

Giusti E., Testi A., (2006), Vincere quasi sempre con le 3 A, Sovera, Roma.

Wolfe B. E., (2007), Trattamenti integrati per i disturbi d’ansia, Sovera, Roma.

Quali Sono Le Emozioni “Positive”? Qual È Il Loro Potere?

L’interesse nei confronti delle emozioni, e più in generale nei confronti della vita affettiva, ha origini dall’antica Grecia.

Platone considerava le emozioni importanti quanto la ragione e i bisogni fisici di base, Aristotele le considerava tendenze biologiche di base nell’esperienza affettiva (Averil, More, 1993), analizzando la relazione tra convinzioni ed emozione, concezioni oggi riprese dalle attuali teorizzazioni (Lazarus, 1999).

Cos’è un’emozione?

Le emozioni sono stati affettivi intensi e di breve durata, hanno una causa precisa scatenante, che può essere sia interna che esterna, con un contenuto cognitivo definito. Le emozioni hanno un inizio, una durata e una fase di attenuazione caratterizzata dalle espressioni facciali e il relativo comportamento adattivo (D’Urso, Trentin, 2006).

Alcuni studiosi sostengono che ci siano 2 stati emotivi di base, felicità e tristezza (Weiner, Graham, 1984); altri sostengono che ci siano 9 o più emozioni di base. Queste divergenze hanno portato alcuni ricercatori a rifiutare completamente il concetto delle emozioni di base (Averill, 1994; Shweder, 1994).

Gli studi sulle emozioni

Lo studio delle emozioni presenta differenti modelli e all’interno dell’approccio categoriale le emozioni positive, più frequentemente annoverate tra le emozioni primarie, sono due: gioia e sorpresa (Tomkins, 1962; Plutchik, 1995). I modelli dimensionali classificano le emozioni positive sulla base di due dimensioni: attivazione/disattivazione e piacevolezza/spiacevolezza o valenza edonica (Russell e Feldman Barrett, 1999). La gioia e la felicità sono emozioni specifiche degli stati positivi, ovvero in assenza di emozioni negative (Fredrickson, 1998; Seligman e Csikszentmihalyi, 2000; Sheldon e King, 2001; Fredrickson e Cohn, 2008).

Di cosa sono fatte le emozioni “positive”?

Oltre ai modelli già citati per lo studio delle emozioni, Ciceri (2015) pone l’accento sulle ricerche che si sono proposte di individuare le componenti specifiche delle emozioni “positive”.

Tutte le emozioni sono in realtà utili e positive, ma comunemente definiamo “positive” quelle piacevoli, mentre “negative” quelle più scomode come rabbia e tristezza.

Alcune ricerche hanno esaminato i resoconti verbali di esperienze soggettive, da cui sono stati estratti fattori o dimensioni caratterizzanti. Da questi studi (Watson et al., 1999; Tellegen, Watson e Clark, 1999; Argyle e Crossland, 1987; Tong, 2007) sono emerse quattro componenti, presenti in tutte le emozioni positive, seppur in gradi diversi:

  • la concentrazione o assorbimento;
  • il senso di potenza o raggiungimento di un obiettivo;
  • l’altruismo, o messa in atto di risposte a esigenze sociali;
  • la spiritualità, intesa come ciò che rende le esperienze serie e profonde, sperimentando un senso di soddisfazione totale e di pienezza.

Cos’è la gioia?

Shiota e collaboratori (2014) individuano che emozioni quali la gioia, la contentezza, il rilassamento, sono esperite dalla percezione di aver raggiunto uno scopo e nell’aver conquistato una ricompensa, che può essere intrinseca o esterna al soggetto.

Al contrario del piacere che deriva dal soddisfacimento di un bisogno, le emozioni, in particolare quelle della famiglia della gioia,

vengono attribuite ad una esperienza positiva diversa e più duratura, che si genera quando si va oltre il raggiungimento dell’omeostasi (appagamento), favorendo la crescita personale fino al raggiungimento di una situazione positiva a lungo termine (Ciceri, 2015).

Dall’esperienza emotiva scaturisce la tendenza all’azione: l’avvicinamento, per esempio, coinvolge l’individuo a livello fisico, mentale e comportamentale (Ciceri, 2015).

La gioia, spesso chiamata anche felicità, porta ad una vicinanza all’oggetto che induce attrazione ed interesse. Questa emozione porta all’apertura e all’esplorazione dell’ambiente e degli individui presenti. Un’espressione tipica dell’esplorazione gioiosa è il gioco, che induce a scoprire l’ambiente senza uno scopo, nel senso più ampio del termine, coinvolgendo aspetti fisici, sociali, intellettuali ed artistici (Ciceri, 2015).

Le altre emozioni positive: interesse, euforia, stupore, tenerezza, sollievo

L’interesse spiega la propensione all’apprendimento e all’esplorazione attiva (Lazarus, 1991). L’interesse è tra le emozioni positive con un’alta attivazione e capacità di controllo, nonostante abbia una valenza edonica minore rispetto alle emozioni della gioia, euforia e del divertimento (Ciceri, 2015). Alcuni studi effettuati sull’interesse (Ryan e Deci, 2000) hanno messo in evidenza che

mentre viene svolta un’attività, l’interesse ha una funzione stimolante sulla durata del coinvolgimento, sulla volontà a ripetere tale attività e sullo sviluppo delle competenze impiegate.

L’interesse favorisce l’individuo nella comprensione del testo e nel ricordare il materiale esaminato, tanto maggiore è l’interesse per il testo (Silvia, 2001, 2005, 2006). L (2002) attua una trasformazione corporea per cui

l’individuo si sente fuori dal mondo.

Il corpo è attivato e ne deriva una spinta a comunicare all’altro ciò per cui l’emozione si è scatenata (Ciceri, 2015).

Lo stupore (meraviglia, incanto) induce ad una tendenza all’azione mentale, intesa come riflessione, contemplazione, coinvolgimento. Lo stupore e le emozioni semanticamente vicine, sono sostanzialmente dirette verso oggetti che suscitano nell’individuo una prima fase di inattività sospesa, che può prevedere momenti di apnea che favoriscono la contemplazione (Ciceri, 2015). L’oggetto esterno è valutato eccezionale per la sua bellezza (esperienza estetica), per la sua maestosità o intrinseca piacevolezza. Schindler, Peach e Lowenbruck (2014) parlano di ammirazione e adorazione come una declinazione sociale della meraviglia. L’ammirazione porta ad avvicinarsi alla persona ammirata per costruire una relazione significativa.

Il Sollievo, la tranquillità, la serenità conducono l’individuo ad un comportamento basato sull’inattività (Frijda, 1989). Ellsworth e Smith (1988) lo definiscono come, «non fare nulla». Per questa famiglia di emozioni non c’è la tendenza all’azione, è uno stato di calma mentale (Ciceri, 2015).

La serenità facilita l’apertura e la propensione al prendersi cura dell’altro (De Rivera, Lois e Julie, 1989),

è un’emozione che spinge l’individuo a gustare la quotidianità, sperimentando unità e attribuzione di un senso attorno a sé (Ciceri, 2015).

La tenerezza, l’innamoramento sono una dimensione emotiva che fa ampliare il repertorio esplorativo dell’individuo nel momento in cui conosce, gusta o gioca con la persona o con l’essere vivente con cui intrattiene una interazione (Ciceri, 2015).

Le emozioni positive portano ad una più ampia visione delle situazioni.

Per tutti questi motivi capite bene quando sia importante generare in noi e nei nostri pazienti delle emozioni “positive”! 


Bibliografia

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