Inizio la terapia!

Quando si decide di intraprendere l’inizio di un percorso terapeutico significa che si è passati probabilmente da un periodo in cui sono sorti tanti dubbi, perplessità, sofferenza e incertezza. Arrivare a scegliere chi ci accompagnerà durante questo momento difficile può rappresentare un’ulteriore fonte di disagio, stress e ansia!

Contattare il professionista quindi è il primo passo per mettersi nella condizione che, avendo già provato diverse strade, questa, è quella che offre l’opportunità di risoluzione della problematica.

Gli elementi che definisco puramente oggettivi e che sono le classiche domande che ci si pone sono:

  • Uomo o donna?
  • Vicino casa/lavoro?
  • Quanto durerà?
  • Quanto costerà?
  • Modalità di pagamento…
  • Quale approccio terapeutico?

Sono tutte valutazioni valide da tenere in considerazione e da affrontare poi con il professionista.

Da chi vado?

La ricerca avviene molto spesso tramite una ricerca online, sulla base degli elementi oggettivi, oppure molto comunemente mediante il passa parola (me lo ha consigliato…; me ne hanno parlato bene), lo seguo su Instagram, ho letto diversi libri/post, ho letto delle buone recensioni, me lo ha consigliato lo psichiatra o medico di famiglia… Avere un feedback da qualcun altro, il parere di qualcuno di cui ha avuto un’esperienza positiva, ha usufruito di quel servizio, ci rassicura in qualche modo.

Attenzione però, quello che è valido per il mio amico potrebbe non esserlo per me e quindi rivelarsi una delusione. E qui mi soffermo nel sottolineare che si tratta di esperienze soggettive e che quindi quel professionista probabilmente non è stato un incompetente ma probabilmente non ha empatizzato con il paziente, o non si è creata quella sintonia che ci fa sentire a nostro agio e che quindi non ci permette di entrare in relazione con il professionista o viceversa. Ovviamente sto parlando per quel che riguarda il primo incontro, quindi le prime impressioni a caldo. Una volta intrapreso il percorso è importante condividere con la/il propria/o terapeuta qualsiasi sensazione, vissuto di malessere, fastidio, delusione, rabbia nei confronti di essa/o. Sarà un ottimo spunto di lavoro terapeutico da affrontare insieme.

Ma Come Scelgo Per Me?

Ne deriva che la scelta è soggettiva, una volta che si sono valutati gli elementi oggettivi, è importante sentirsi al sicuro, accolti, ascoltati e a proprio agio nel condividere con il professionista parti di noi.

In letteratura ci sono diversi studi volti ad individuare le caratteristiche, le metodologie, gli approcci terapeutici più efficaci. Sono stati indagati diversi fattori e di seguito ne riporto solo alcuni di quelli presenti tra i molteplici studi condotti.

Per Frank (1973; 1982) il cambiamento terapeutico è promosso dai fattori comuni: una relazione emotivamente protetta e basata sulla fiducia con il professionista, un setting di sostegno; uno schema logico-concettuale, un rituale terapeutico.

Rosenzweig nel 1936 individuava alcuni fattori atti a migliorare l’efficacia delle psicoterapie, quali: la relazione Terapeutica, un’ideologia sistematica o teoria, la possibilità di intervenire su un aspetto di un problema per attuare il cambiamento e la personalità del terapeuta.

Quello che emerge dagli studi in letteratura, volti ad indagare l’efficacia delle psicoterapie e i fattori comuni, è che la relazione Terapeutica, le qualità del terapeuta e le caratteristiche del paziente, hanno ricevuto maggiore attenzione (Giusti, Montanari, Montanarella; 1997).

Per avere una maggiore sicurezza, sull’affidabilità della professionalità della persona scelta, si posso effettuare delle verifiche sui siti degli albi professionali, come nel mio caso sull’Ordine degli psicologi del Lazio o su quello del consiglio nazionale ordine psicologi CNOP, i quali forniscono le informazioni inerenti all’avvenuta attestazione e qualifica del professionista (psicologo, piuttosto che psicologo-psicoterapeuta, medico-psicoterapeuta, counselor, dottore in psicologia ecc…). Molto spesso si fanno delle sovrapposizioni sulle diverse tipologie di professioni della relazione di aiuto, anche dovute dalla poca informazione che viene fatta in merito a questo tema e purtroppo agli abusi professionali. Che significa? Che persone che non hanno conseguito i titoli riconosciuti dalle istituzioni, non hanno una preparazione teorico-pratica, svolgono impropriamente attività per le quali anche legalmente non possono.


Bibliografia

Frank J., “Persuasion and healing”, Schocken Books, 1973, New York.

Frank J., ” Therapeutic components shared by all psychotherapies, in J. Harvey e M. Parks ( Eds.), The master lecture series: vol 1. Psychotherapy research and behavior change, APA, 1982, Washington DC.

Giusti E., Montanari C., Montanarella G., “Manuale di psicoterapia integrata. Verso un eclettismo clinico metodologico” 1997, Franco Angeli.

Rosenzweig S., “Some implicit common factors in diverse methods in psychotherapy” , American Journal of Ortopsychiatry, 6, 1936.

La Terapia di Gruppo

Che cosa é?

La terapia di gruppo è un’esperienza sicura in un ambiente protetto che da la possibilità a ciascun partecipante di lavorare su dinamiche personali e interpersonali, mediante la guida di un professionista, adeguatamente formato alla conduzione dei gruppi. L’aspetto sociale è molto importante per ciascuno di noi ed in un percorso di crescita personale, l’introduzione di un’esperienza di gruppo, aggiunge completezza al lavoro individuale.

Porter (1993) sostiene che la terapia di gruppo va ad integrarsi con la terapia individuale fornendo elementi complementari e mancanti. In letteratura è raccomandata anche per i disturbi di personalità (istrionica, evitante, dipendente, ossessiva-compulsiva), del controllo degli impulsi (sessuali e abuso di sostanze), dell’umore e dell’ansia e da condizioni psicotiche stabili (Giusti, Montanari, Iannazzo, 2004).

In questo tipo particolare di contesto, la dinamica di gruppo aiuta ciascun partecipante a confrontarsi con altri e contestualmente ad apprendere nuove prospettive che aiutano a dare una nuova forma a quelle che sono i nodi relazionali che si sono formati nel tempo. Un cambio di prospettiva può aiutare a trovare un equilibrio o a trovarne uno nuovo.

La mia personale esperienza

Nella mia esperienza di paziente, nella terapia di gruppo, ho potuto sanare dei dolori emotivi grazie al contributo dei miei compagni di viaggio, che mi hanno dato la possibilità di rivivere situazioni passate o contemporanee, dandomi feedback rispetto a come si era svolto l’episodio e di come io avessi vissuto e reagito. Tutto questo mi ha offerto l’opportunità di ri-narrare la mia storia, ripulita da quella sofferenza che a volte mi offuscava e non mi dava la possibilità di essere centrata. La terapia di gruppo mi ha aiutata, con la terapia individuale, a trovare il mio equilibrio interiore e a completare il mio percorso di crescita personale.

“E’ stata una delle esperienze più forti e formative del mio percorso!”

Nella mia formazione da psicoterapeuta è stata fondamentale l’esperienza nella conduzione dei gruppi di terapia. Ha arricchito me come persona e come professionista.


Bibliografia

Giusti E., Montanari C., Iannazzo A. (2004), Psicoterapie integrate. Piani di trattamento per psicoterapeuti, Masson.

Porter B. (1993), Combined individual and group psychotherapy, in H. Kaplan e B. Sadock (eds.), Comprehensive group psychotherapy (3rd. edn.), Williams e Wilkins, Baltimor.

Insegnare che passione, corso per insegnanti

In collaborazione con Università Civica “A.Sacchi” Nettuno con la collega Mara Sebastiani proponiamo il corso “Insegnare che passione” rivolto alle insegnanti che intendono aumentare la propria consapevolezza rispetto al proprio stile comunicativo-relazionale. E’ un corso teorico-esperenziale nel quale verranno fornite tecniche per la comunicazione efficace e la gestione delle relazioni.

 

Il corso si svolgerà presso l’UNIVERSITÀ CIVICA “A. SACCHI” NETTUNO avrà una durata di 150 ore complessive, orientativamente da Ottobre 2018 a Giugno 2019.

 

Per maggiori informazioni direttore.unicivica@gmail.com

 

Il bullismo: che cos’è, caratteristiche e modalità di intervento

Che cos’è il bullismo?

Volendo dare una definizione manualistica di che cos’è il bullismo, è un abuso sistematico di potere tra compagni di scuola.

Il bullismo è tale per alcune caratteristiche che progressivamente sono state messe in rilievo (Olweus, 1999; Menesini, 2000): è un’azione intenzionale e reiterata nel tempo da parte del bullo nei confronti della vittima, di tipo aggressivo sia sul piano fisico (calci, pugni…) e verbale (offese, minacce…) che psicologico, tramite l’esclusione o la diffamazione. Molto spesso è una interazione asimmetrica, di disequilibrio e di forza tra il bullo e la sua vittima.

E il cyberbullismo?

E’ un atto aggressivo, intenzionale, agito, attraverso l’utilizzo di smartphone, tablet e tutti i dispositivi mobili, con i quali si possono diffondere tramite internet o sms, immagini, video e notizie riguardanti una persona a sua insaputa ad un pubblico vasto. L’aggressore in forma anonima agisce intenzionalmente per nuocere la vittima, che non può facilmente difendersi, ad esempio con l’invio di un’immagine umiliante.

Le ricerche condotte in Italia hanno portato ad individuare alcune caratteristiche psicologiche del bullo e della vittima, differenziandone le tipologie (Menesini, 2003):

Le tipologie di bullo sono:

  1. Il bullo dominante: è per lo più maschio, più forte fisicamente o psicologicamente rispetto ai compagni. Ha un’elevata autostima ed è favorevole all’uso della violenza. Ritiene che con l’aggressività si possa ottenere ciò che si vuole, tendendo a giustificare il proprio comportamento con indifferenza ed ha una scarsa empatia nei confronti degli altri.
  2. Il bullo gregario: è tipicamente ansioso, poco popolare nel gruppo e insicuro. tende a farsi trascinare nel ruolo o a sostenere il bullo per poter affermarsi all’interno del gruppo.
  3. Il bullo-vittima: è definita anche vittima aggressiva o provocatrice, pur subendo le prepotenze dei compagni, agisce aggressivamente (Olweus, 1993). Spesso si tratta di un bambino emotivo, irritabile e con una difficoltà nella gestione delle proprie emozioni, ha atteggiamenti provocatori e iperattivi di fronte agli attacchi dei compagni.

Le tipologie di vittima sono:

  1. La vittima passiva: è un ragazzo tendenzialmente passivo, calmo, sensibile e contrario all’uso della violenza e se maschio, più debole fisicamente. La sua modalità ansiosa o sottomessa, segnala ai bulli la sua insicurezza e la difficoltà nel reagire (Menesini, 2003).
  2. La vittima provocatrice: è un ragazzo che con il suo comportamento irrequieto, iper-attivo e irritante, provoca gli attacchi del bullo contrattaccando. Caratterizzato da scarsa autostima e un’opinione negativa di sè e delle proprie competenze e nel riconoscimento delle proprie emozioni (Menesini, 2003).

Il bullismo nella scuola primaria

Molto spesso c’è il pregiudizio nel riconoscere che il bullismo sia presente nella scuola primaria, anche da parte degli  stessi operatori del settore socio-educativo.

I compagni più deboli, i ragazzi appartenenti ad un’altra etnia e altri gruppi di minoranza, sono le vittime prese di mira. Un’altra categoria di studenti, oggetto di prevaricazioni e derisioni, sono i ragazzi il cui comportamento non è tipico dell’identità di genere. In questi casi è estremamente importante fare attenzione in quanto il bullismo coincide con la molesti sessuale (Menesini, 2003).

Lavorando in questo contesto, molto spesso mi è capitato di sentir dire che non si trattava di bullismo, ma semplicemente

“E’ una scaramuccia tra ragazzini!”

“Sono cose che possono capitare!!”

Gli episodi di bullismo avvengo nelle aule, nei corridoi, nei bagni della scuola, in cortile. In genere i bulli appartengono alla stessa classe della vittima o a classi superiori.

Perché è importante occuparsi del bullismo, ci sono ripercussioni a lungo termine?

Le vittime di bullismo sono affette da diversi tipi di disagi, quali la solitudine, la depressione, l’ansietà, l’insicurezza, la bassa autostima e un’eccessiva passività nelle relazioni sociali. Alcuni studi effettuati a lungo termine condotti da Olweus (1993) hanno riscontrato che c’è una non trascurabile capacità di recupero in età adulta, nei casi in cui non si è fatto alcun tipo di intervento riparativo, anche componenti di ansia e di insicurezza tipiche dei soggetti vittime di violenza e un elevato rischio di sviluppare tendenze depressive (Menesini, 2003).

Si può intervenire in modo preventivo?

Una ricerca condotta su un campione di adolescenti (Gini, Albiero, Benelli, 2005) ha mostrato come i ragazzi aggressivi, il bullo e i suoi sostenitori, hanno una bassa capacità empatica rispetto ai compagni non aggressivi. Nelle vittime Il livello di empatia è più elevato e, ancor più, nei compagni che assumono il ruolo di difensori della vittima, sono caratterizzati da alti livelli di comportamento prosociale e di aiuto.

il ruolo dell’empatia nel bullismo

I bassi livelli di empatia nel bullo, non permettono di anticipare le reazioni e quindi le emozioni che possono produrre nell’altro, il suo comportamento aggressivo.

Le vittime hanno bassi livelli di efficacia sociale, nell’area dell’efficacia assertiva e di quella scolastica.I bulli hanno una difficoltà rispetto all’efficacia scolastica e regolatoria, mentre hanno un senso di autoefficacia complessivamente positivo nell’area dell’autoefficacia assertiva e sociale.

l’autoefficacia è così importante?

Il bullo ha un buon senso di autoefficacia nella sfera delle relazioni sociali e quindi si sentono più spigliati e in grado di ricoprire il ruolo appunto da leader, mentre la vittima ha una bassa autoefficacia in questa sfera, che lo porta generalmente ad avere un atteggiamento più remissivo.

Questo significa che l’emapatia e l’autoefficacia sono fattori protettivi all’insorgere delle caratteristiche che possono determinare il ruolo di bullo e di vittima.

Come intervenire

Nell’ottica del mio approccio umanistico integrato, il focus del lavoro è volto ad aumentare la consapevolezza di sè e della scoperta delle proprie emozioni e quindi della loro gestione, soprattutto per quanto riguarda le emozioni di Tristezza e Rabbia, che molto spesso sono la causa di problematiche varie. La modalità di intervento si esplica mediante due tipologie di intervento diverse:

  1. E’ un intervento strutturato per le scuole mediante un progetto volto al coinvolgimento di tutti gli attori coinvolti, quindi con degli incontri per gli insegnanti, degli incontri di classe per gli alunni e degli incontri di gruppo per i genitori basati sul sostegno alla genitorialità. Questi incontri vertono su tematiche rivolte alla gestione del conflitto e allo sviluppo della comunicazione efficace.
  2. E’ un’intervento rivolto alle famiglie che si trovano in difficoltà nella gestione dei propri figli all’interno dell’ambiente scolastico. Il percorso è rivolto alla coppia genitoriale che si ritrova ad affrontare dinamiche nuove e disfunzionali del figlio/a che si ripercuotono sull’intero sistema.

 


Bibliografia

Genta M. L. (2017), “Bullismo e cyberbullismo. Comprenderli per combatterli. Strategie operative per psicologi, educatori ed insegnanti”. FrancoAngeli, Milano.

Gini G., Albiero P., Benelli B., (2005), “Relazione tra bullismo, empatia ed autoefficacia percepita in un campione di adolescenti”. Psicologia clinica dello sviluppo. Il Mulino, Bologna.

Menesini E. (2003), “Bullismo: le azioni efficaci della scuola. percorsi italiani alla prevenzione e all’intervento“. Erickson, Trento.

Olweus D. (1999), Sweden. In P.K. Smith, Y. Morita, J. Junger-Tas, D. Olweus, R. Catalano e P. Slee (a cura di), “The Nature of school bullying. A cross national perspective”. London, Routledge.

scuole di psicoterapia

Scuole di psicoterapia: il mio modello

Le Scuole di Specializzazione in Psicoterapia

Tra i molteplici modelli delle scuole di psicoterapia, psicodinamico-psicoanalitico (Freud), cognitivo-comportamentale (Watson-Beck), umanistico-esistenziale (Rogers-Perls), sistemico-relazionale (Bateson), biofunzionale-corporeo (Reich-Lowen), pluralistico-integrato (Wachtel-Lazarus-Frank), io ho scelto

il modello pluralistico integrato dei fattori comuni.

tra tutte le possibilità

Il modello pluralistico integrato dei fattori comuni (Giusti, 1997; Giusti, Montanari, Montanarella, 1995) è definito da Giusti e Montanari, capostipiti della scuola ASPIC, pluralistico gestaltico.

Questo modello si sviluppa su quattro fasi (Giusti, Montanari; Iannazzo, 2004):

  1. Pre-contatto
    è la fase in cui ci si inizia a conoscere e ad esplorare gli obiettivi da perseguire durante il percorso;
  2. Avvio-contatto
    si consolida la relazione;
  3. Contatto pieno
    avviene il cambiamento grazie all’elaborazione riparativa di vissuti inconsci ed al soddisfacimento di bisogni non ancora riconosciuti;
  4. Post-contatto
    avviene la crescita e l’assimilazione.

Ciascuna di queste quattro fasi è composta da un certo numero di sedute, le quali possono variare da caso a caso.

Questo approccio si basa sull’integrazione di tre elementi fondamentali:

  • l’eclettismo tecnico: selezione tra le diverse procedure dei metodi che funzionano meglio;
  • l’integrazione teorica: sintesi concettuale di diversi sistemi teorici;
  • la ricerca dei fattori comuni: elementi condivisi tra le diverse psicoterapie;

Ogni situazione è unica e l’ausilio delle varie tecniche acquisite dà modo, al terapeuta, di poter scegliere il tipo di intervento più adatto per quel caso specifico, a fronte di una valutazione effettuata.

Ritengo che il punto di forza di questo modello sia proprio la possibilità di poter effettuare un adattamento creativo,

ovvero sulla base dell’esigenza, tenendo in considerazione l’obiettivo da perseguire, le attitudini e le risorse del paziente e del terapeuta stesso, poter scegliere gli strumenti e le tecniche più efficaci, per quel dato momento storico del paziente, al fine di superare la difficoltà vissuta da questo per arrivare alla “guarigione” intesa come risoluzione del problema, crescita personale, consapevolezza di Sé stessi e di come ci si pone nella vita quotidiana.

 

In questo modello mi rispecchio nel pluralismo,

nella possibilità di accogliere i diversi contributi dei singoli approcci, in quanto ho sempre avuto la predisposizione a vagliare più opzioni senza precludere le varie possibilità del divenire e la bellezza della diversità e del suo apporto in ogni contesto, che nella terapia ritengo essere ancor più interessante e importante. Il tipo di intervento quindi è studiato per il caso specifico considerando le peculiarità del paziente.

Nel prossimo articolo darò alcune informazioni sugli strumenti e le tecniche utilizzate all’interno di questo modello. Se vuoi rivolgermi domande in merito all’argomento o per qualsiasi altra informazione, non esitare a contattarmi. Compila il form di seguito.

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Bibliografia

Giusti E. (1997), Psicoterapie: denominatori comuni. Angeli, Milano.

Giusti E., Montanari C., Montanarella G. (1995), Manuale di di psicoterapia integrata. Angeli, Milano.

Giusti E., Montanari C., Iannazzo A. (2004), Psicoterapie integrate. Masson, Milano.

La psicoterapia: che cosa e’ ? Chi la pratica?

La psicoterapia

La psicoterapia è una disciplina che si sviluppa attraverso la relazione terapeutica. Il fine e’ di ottenere il cambiamento, la riduzione dei sintomi e una conseguente modificazione della struttura della personalità. Questo e’ importante che sia condiviso fin da subito con il paziente.

Chi puo’ praticare la psicoterapia?

La psicoterapia e’ particata da psicologi e medici. Tali professionisti abilitati alla professione psicoterapica, sono iscritti negli appositi albi professionali, secondo le disposizioni previste dalla legge 18 febbraio 1989, n. 56.

La legge decreta che le lauree in psicologia e in medicina siano necessariamente integrate da corsi quadriennali delle scuole di psicoterapia riconosciute dal Ministero.

Le scuole di specializzazione in psicoterapia

Le scuole di specializzazione in psicoterapia, sono molte e si distinguono tra loro sulla base di orientamenti e di modelli ai quali afferiscono. Le tradizioni di ricerca hanno portato nel tempo a questa frammentazione. Nel prossimo articolo entrero’ piu’ nel dettaglio.

 


Bibliografia

Giusti E., Spalletta E., (2012). Psicoterapia e conuseling. comunanze e differenze. Sovera

Che cosa è il counseling?

Il counseling

il counseling è un’attività professionale orientata alla promozione del benessere individuale e collettivo nel sostenere e sviluppare le potenzialità dell’individuo.  Abilità e competenze con le quali si stabilisce con l’utenza una relazione di aiuto e di accoglienza motivazionale.  L’intervento di counseling si stanzia ad un livello di cambiamento organizzativo interpersonale, limitato e specifico, mentre nella psicoterapia il trattamento  è principalmente ristrutturante intraspichico, oltre che relazionale.

 

consueling

Le tecniche di counseling

le tecniche di counseling sono volte ad aiutare l’individuo a comprendere i propri sentimenti e atteggiamenti, a chiarire i risultati che si desidera ottenere, pianificando un percorso breve per conseguirli. Il counselor è un esperto di comunicazione e relazione che favorisce la crescita personale al fine di motivare il cliente a migliorare la qualità di vita.

 

In che modo?

il percorso di counseling è breve, limitato nel tempo, specifico ed estremamente focalizzato su di un obiettivo. Attraverso il dialogo si esplorano i vissuti emotivi della persona, nel qui ed ora, per aumentare la propria consapevolezza e far si che si acquisiscano gli strumenti per poter risolvere e o gestire i problemi.


Bibliografia

Giusti E., Spalletta E., (2012),  Psicoterapia e cousneling. Comunanze e differenze. Sovera

Giusti E., Pagni A., (2014), Il counseling psicologico. Assessment e interventi basati sulla ricerca scientifica. Sovera

Comunicazione

La Comunicazione

La comunicazione

è uno scambio interattivo osservabile fra due o più partecipanti, dotato d’intenzionalità reciproca e di un certo livello di consapevolezza, in grado di far condividere un determinato significato, sulla base di sistemi simbolici e convenzionali di significazione e di segnalazione secondo la cultura di riferimento (Anolli, 2003).

La comunicazione è un’attività complessa, è una dimensione psicologica costitutiva dell’individuo e si caratterizza per alcuni aspetti che ora passiamo in rassegna (Anolli, 2006):
  • La comunicazione è un’attività eminentemente sociale.

Il gruppo rappresenta una condizione necessaria e un vincolo per la genesi, l’elaborazione e la conservazione di qualsiasi sistema di comunicazione.

  • La comunicazione è partecipazione.

Prevede la condivisione dei significati e dei sistemi di segnalazione, basati su processi complessi che si fondano sull’accordo di regole sottese per gli scambi comunicativi.

  • La comunicazione è un’attività eminentemente cognitiva.

E’ strettamente connessa con il pensiero e con i processi mentali superiori, il pensiero e la comunicazione si organizzano in modo reciproco, poiché c’è una relazione intrinseca fra realtà pensabile e realtà comunicabile.

  • La comunicazione è un’attività intrinsecamente legata all’azione.

La comunicazione è considerata un’azione poiché è un atto rivolto nei confronti di qualcun altro. L’atto comunicativo ha degli effetti sugli scambi tra i partecipanti coinvolti all’interno di un processo che viene ad influenzarsi reciprocamente.

La comunicazione è alla base dell’interazione sociale e delle relazioni interpersonali, è una dimensione intrinseca dell’essere umano che ne esprime l’identità personale. Quest’attività umana sofisticata si stanzia all’interno di una cornice di riferimento, la cultura dei soggetti partecipanti all’interazione.

Il contributo dell’informatica allo studio della comunicazione: l’approccio matematico

Lo studio della comunicazione nelle scienze umane è piuttosto recente, in realtà questi studi sono stati resi possibili dal concetto generale d’informazione che per definizione è:

  • Espansiva, l’informazione genera ulteriore informazione;
  • Comprimibile, a livello sintattico che semantico;
  • Facilmente trasportabile e trasmissibile a una velocità molto elevata.

In generale si può definire l’informazione come «una differenza che genera differenza» (Bateson, 1972) che per sua natura è la relazione fra due o più dati, in grado di generare ulteriori conoscenze e quindi entità astratta. La nozione d’informazione come differenza è alla base dell’informatica e della cibernetica. Infatti, in queste discipline e nelle tecnologie che su di esse si fondano (computer, nuovi media), qualsiasi informazione è digitalizzata ed è trasformata in una sequenza di 0 e 1. Questo scenario è stato approfondito dall’approccio matematico allo studio della comunicazione (Shannon, 1948). Secondo tale approccio, essa va considerata come un processo di trasmissione d’informazioni mediante il passaggio di un segnale (messaggio) da una fonte A (emittente) attraverso un trasmettitore (es. voce) lungo un canale (telefono) più o meno disturbato da un rumore a un destinatario B (ricevente) grazie a un recettore (apparato acustico).

L’approccio matematico

è stato il primo a fornire un modello teorico e verificabile della comunicazione. Tale approccio implica una teoria forte del codice, condizione necessaria e sufficiente per comunicare è l’avere a disposizione un codice di trasmissione dei messaggi. Gli studiosi optano per una relazione mediata fra segno e referente e, focalizzando l’attenzione sui processi di cifratura e decifratura dei messaggi, sono stati tralasciati aspetti fondamentali della comunicazione. L’elaborazione, la condivisione dei significati, l’intenzionalità, l’inferenza e la moltitudine dei sistemi stessi di comunicazione, sono aspetti rilevanti ai quali quest’approccio non ha posto attenzione (Anolli, 2002).


Bibliografia

Anolli, L. (2002), Le emozioni. Milano, Unicopli.

Anolli, L. (2003), Mentire. Bologna, Il Mulino.

Anolli, L. (2006), Fondamenti di psicologia della comunicazione. Bologna, Il Mulino.

Bateson G. (1972), Verso un’ecologia della mente. Milano, Adelphi.

Shannon C. E. (1948), A Mathematical Theory of Communication. Bell System Technical Journal, vol. 27.

Scegliere: Primo Atto Di Una Trasformazione

Scegliere per essere liberi

Scegliere: penso che sia una delle espressioni dell’essere liberi e allo stesso tempo può mettere in crisi, nel momento in cui si deve compiere una scelta che può portare ad un cambiamento. Alcuni di noi sono piuttosto istintivi, impiegano poco tempo per decidere; altri, invece, dedicano più tempo alla valutazione delle differenti opzioni e alle possibili conseguenze. Che si tratti di fare shopping, un viaggio, comprare casa, dire la verità o continuare a mentire, iscriversi in palestra oppure no, smettere di fumare o fare la dieta, compiere una scelta può farci sperimentare l’ambivalenza.

L’ambivalenza è qualcosa che sperimentiamo quotidianamente

In letteratura l’ambivalenza è una caratteristica dello stadio della contemplazione (Arkowitz, Westra, Miller, Rollnick, 2010). Prochaska e Norcross (2004) hanno operazionalizzato il modello degli stadi di cambiamento, costituito da cinque livelli di consapevolezza dell’individuo rispetto al grado di apertura verso il cambiamento.
I cinque livelli sono:

  • pre-contemplazione,
  • contemplazione,
  • preparazione,
  • azione,
  • mantenimento.

Nella fase della contemplazione, l’individuo è consapevole che esistono dei problemi e non mette in atto comportamenti per risolverli (Giusti, Montanari, Iannazzo, 2006).

A volte scegliere è faticoso, doloroso e non sappiamo neanche come poter mettere in atto una decisione presa.

 

Perché devo scegliere, non posso prendere tutto?

In alcune circostanze ci diciamo questo, a me suona familiare e a voi?

pablo scegliere cibo 2 pablo scelta

In certe occasioni la scelta ci porta a mettere in atto una condotta sana, buona per noi stessi, altre volte mettiamo in atto comportamenti a rischio, adottando delle pratiche dannose per la salute psico-fisica.

Cambiare un’abitudine, liberarsi da una dipendenza che sappiamo farci male ma a cui allo stesso tempo siamo affezionati per un certo senso di sicurezza che ci procura, può essere faticoso. Il cambiamento porta una novità che può spaventare e destabilizzare.

Non voglio cambiare, sto bene così!

Quando mi è capitato di fare quest’affermazione, ho poi capito che se stavo già contemplando un ipotetico processo di cambiamento, evidentemente c’era qualcosa dentro di me che mi portava a rivedere le mie convinzioni. Cercare di capire quali fossero i costi e i benefici che avrei sperimentato prima di passare all’azione, è stato molto utile.

Attraverso delle metodologie (Miller, Rollnick, 2002) si esplora e si risolve l’ambivalenza per accrescere la motivazione, arrivando, attraverso un percorso terapeutico, al cambiamento.

Nell’emotività si effettua il cambiamento

Sperimentando ciò che proviamo e aumentando la nostra consapevolezza, abbiamo una maggiore possibilità per essere noi i protagonisti della nostra vita, scegliendo in piena libertà. Insieme possiamo farcela!

Se ti senti in contemplazione e sei interessato a fare un passo verso il cambiamento, contattami.

 


Bibliografia

Arkowitz H., Westra H. A., Miller W. R., Rollnick S. (2010), Il colloquio motivazionale per i trattamenti dei problemi psicologici, Sovera, Roma.

Giusti E., Montanari C., Iannazzo A. (2006), Psicodiagnosi integrata. Valutazione transitiva e progressiva del processo qualitativo e degli esiti nella psicoterapia pluralistica fondata sull’evidenza obiettiva, Sovera, Roma.

Prochaska J.O., Norcross J.C. (2004), Systems of psychoterapy: A transtheoretical analysis (5th ed.), Wadsworth, New York.

Ti Manca Il Tempo Per Fare Le Cose? La Psicologia Ti Dà Una Mano

Il tempo: una risorsa preziosa

Nella nostra società il tempo è una tra le risorse più preziose che abbiamo. Per le aziende essere i primi ad immettere un nuovo prodotto sul mercato è fondamentale, abbattere i tempi di produzione, velocizzare i processi di vendita.

I top manager spendono la loro vita per essere veloci, tanto quanto gli è richiesto dalle aziende. Le prestazioni dei professionisti sono basate su tariffazioni orarie e le aziende che si occupano di trasporto fanno leva sulla velocità degli spostamenti che offrono.

Non solo il business è incentrato sul tempo, ma anche ognuno di noi ha la vita organizzata e scandita dal tempo.

Alcune volte mi servirebbe una giornata di 48 ore!

Quante volte vi è capitato di dirlo? A me, spesso. Manca il tempo!

Ad esempio, quando ho avuto l’impressione di non aver concluso tutto quello che mi ero prefissata di fare in un certo giorno. Ed arriva poi la frustrazione, per non essere stata in grado di portare a termine tutto, di aver perso tempo, accompagnata dai rimorsi “potevo evitare di andare a prendere il caffè al bar con i colleghi….”. E immancabilmente il giorno dopo, sentirmi in affanno per dover recuperare le cose da fare lasciate inconcluse, mentre i miei obiettivi sembrano essere sempre più lontani.

 

Basta, così l’ansia arriva alle stelle!

“Noi tutti abbiamo bisogno di dare una struttura al nostro tempo perché questo ci dà la sensazione di vivere davvero, di essere padroni del nostro tempo” (De Luca, Spalletta, 2011, pag 59).

Esattamente ciò che ho compreso ed iniziato a mettere in pratica. La spinta motivazionale al cambiamento, la benzina che alimenta il motore, è stata la voglia di raggiungere le mie soddisfazioni, come quando si vuole arrivare al traguardo, veloce e vincente come lo sprint finale in una corsa di moto.

Perché?

  • Per sentirmi libera dall’ansia;
  • Per non provare più la sensazione di affanno.

Come?

  • Prendendo coscienza che la giornata si può organizzare in modo più strutturato;
  • Imparando ad utilizzare l’agenda per gestire il mio tempo.

 

Di cosa è fatta una giornata

La giornata è fatta anche dagli imprevisti, piacevoli o antipatici che siano.

Prendere il caffè con un amico che non si vede da tempo, è bello e fa piacere.

La ruota della macchina che si buca mentre si va a fare la spesa… beh, è spiacevole e può succedere.

L’utilizzo dell’agenda ci aiuta ad organizzare la giornata, quindi è necessario annotare i nostri impegni, scanditi da orari stabiliti, lasciando un margine di tempo tra l’uno e l’altro e, ancor più importante, lasciare del tempo per gli imprevisti.

Gestire bene il tempo aiuta l’autostima

La gestione del tempo va ad impattare anche sullo sviluppo del nostro empowerment e sull’autostima (Giusti, Testi, 2006; Wolfe, 2007).

Tra i nostri amici, familiari o colleghi ci sarà capitato di notare una persona con delle chiare difficoltà nella gestione del proprio tempo, magari pensando “che disastro”, e vederla peggiorare negli anni.

Probabilmente, le giustificazioni che questa persona fornisce per i suoi insuccessi non sono scuse e non sono bugie, ha semplicemente bisogno di imparare a conoscere e gestire una risorsa tanto preziosa che in realtà le fa provare ansia.

Una tecnica: scegli e monitora i tuoi obiettivi

Ci sono diverse tecniche ed accorgimenti che si possono mettere in pratica, ad esempio si può procedere facendo “La lista dei miei obiettivi” (Gambarasio, 2007): si scelgono e si scrivono cinque obiettivi da raggiungere per i sei mesi successivi, mettendoli in ordine di priorità.

Priorità Obiettivo
1.           
2.           
3.           
4.           
5.           

 

Fatta la lista, si procede con il monitoraggio del processo, rispondendo alle seguenti domande:

  • Cosa voglio ottenere?

  • Quali sono i miei obiettivi?

  • Quali sono le mie priorità?

  • A cosa d’importante dovrei dedicare il mio tempo?

Attraverso l’introspezione possiamo mettere in primo piano ciò che realmente vogliamo ottenere, consapevolmente, con le risorse di cui disponiamo.

Il tempo può dare molto di più, il tempo è vita, è gioia, è soddisfazione, è amicizia, è piacere.  


Bibliografia

De Luca K., Spalletta E., (2011), Praticare il tempo. Manuale operativo per ottimizzare la vita personale e professionale,Sovera, Roma.

Gambarasio G., (2007), Più risultati in meno tempo, Franco Angeli, Milano

Giusti E., Testi A., (2006), Vincere quasi sempre con le 3 A, Sovera, Roma.

Wolfe B. E., (2007), Trattamenti integrati per i disturbi d’ansia, Sovera, Roma.

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