Inizio la terapia!

Quando si decide di intraprendere l’inizio di un percorso terapeutico significa che si è passati probabilmente da un periodo in cui sono sorti tanti dubbi, perplessità, sofferenza e incertezza. Arrivare a scegliere chi ci accompagnerà durante questo momento difficile può rappresentare un’ulteriore fonte di disagio, stress e ansia!

Contattare il professionista quindi è il primo passo per mettersi nella condizione che, avendo già provato diverse strade, questa, è quella che offre l’opportunità di risoluzione della problematica.

Gli elementi che definisco puramente oggettivi e che sono le classiche domande che ci si pone sono:

  • Uomo o donna?
  • Vicino casa/lavoro?
  • Quanto durerà?
  • Quanto costerà?
  • Modalità di pagamento…
  • Quale approccio terapeutico?

Sono tutte valutazioni valide da tenere in considerazione e da affrontare poi con il professionista.

Da chi vado?

La ricerca avviene molto spesso tramite una ricerca online, sulla base degli elementi oggettivi, oppure molto comunemente mediante il passa parola (me lo ha consigliato…; me ne hanno parlato bene), lo seguo su Instagram, ho letto diversi libri/post, ho letto delle buone recensioni, me lo ha consigliato lo psichiatra o medico di famiglia… Avere un feedback da qualcun altro, il parere di qualcuno di cui ha avuto un’esperienza positiva, ha usufruito di quel servizio, ci rassicura in qualche modo.

Attenzione però, quello che è valido per il mio amico potrebbe non esserlo per me e quindi rivelarsi una delusione. E qui mi soffermo nel sottolineare che si tratta di esperienze soggettive e che quindi quel professionista probabilmente non è stato un incompetente ma probabilmente non ha empatizzato con il paziente, o non si è creata quella sintonia che ci fa sentire a nostro agio e che quindi non ci permette di entrare in relazione con il professionista o viceversa. Ovviamente sto parlando per quel che riguarda il primo incontro, quindi le prime impressioni a caldo. Una volta intrapreso il percorso è importante condividere con la/il propria/o terapeuta qualsiasi sensazione, vissuto di malessere, fastidio, delusione, rabbia nei confronti di essa/o. Sarà un ottimo spunto di lavoro terapeutico da affrontare insieme.

Ma Come Scelgo Per Me?

Ne deriva che la scelta è soggettiva, una volta che si sono valutati gli elementi oggettivi, è importante sentirsi al sicuro, accolti, ascoltati e a proprio agio nel condividere con il professionista parti di noi.

In letteratura ci sono diversi studi volti ad individuare le caratteristiche, le metodologie, gli approcci terapeutici più efficaci. Sono stati indagati diversi fattori e di seguito ne riporto solo alcuni di quelli presenti tra i molteplici studi condotti.

Per Frank (1973; 1982) il cambiamento terapeutico è promosso dai fattori comuni: una relazione emotivamente protetta e basata sulla fiducia con il professionista, un setting di sostegno; uno schema logico-concettuale, un rituale terapeutico.

Rosenzweig nel 1936 individuava alcuni fattori atti a migliorare l’efficacia delle psicoterapie, quali: la relazione Terapeutica, un’ideologia sistematica o teoria, la possibilità di intervenire su un aspetto di un problema per attuare il cambiamento e la personalità del terapeuta.

Quello che emerge dagli studi in letteratura, volti ad indagare l’efficacia delle psicoterapie e i fattori comuni, è che la relazione Terapeutica, le qualità del terapeuta e le caratteristiche del paziente, hanno ricevuto maggiore attenzione (Giusti, Montanari, Montanarella; 1997).

Per avere una maggiore sicurezza, sull’affidabilità della professionalità della persona scelta, si posso effettuare delle verifiche sui siti degli albi professionali, come nel mio caso sull’Ordine degli psicologi del Lazio o su quello del consiglio nazionale ordine psicologi CNOP, i quali forniscono le informazioni inerenti all’avvenuta attestazione e qualifica del professionista (psicologo, piuttosto che psicologo-psicoterapeuta, medico-psicoterapeuta, counselor, dottore in psicologia ecc…). Molto spesso si fanno delle sovrapposizioni sulle diverse tipologie di professioni della relazione di aiuto, anche dovute dalla poca informazione che viene fatta in merito a questo tema e purtroppo agli abusi professionali. Che significa? Che persone che non hanno conseguito i titoli riconosciuti dalle istituzioni, non hanno una preparazione teorico-pratica, svolgono impropriamente attività per le quali anche legalmente non possono.


Bibliografia

Frank J., “Persuasion and healing”, Schocken Books, 1973, New York.

Frank J., ” Therapeutic components shared by all psychotherapies, in J. Harvey e M. Parks ( Eds.), The master lecture series: vol 1. Psychotherapy research and behavior change, APA, 1982, Washington DC.

Giusti E., Montanari C., Montanarella G., “Manuale di psicoterapia integrata. Verso un eclettismo clinico metodologico” 1997, Franco Angeli.

Rosenzweig S., “Some implicit common factors in diverse methods in psychotherapy” , American Journal of Ortopsychiatry, 6, 1936.

Insegnare che passione, corso per insegnanti

In collaborazione con Università Civica “A.Sacchi” Nettuno con la collega Mara Sebastiani proponiamo il corso “Insegnare che passione” rivolto alle insegnanti che intendono aumentare la propria consapevolezza rispetto al proprio stile comunicativo-relazionale. E’ un corso teorico-esperenziale nel quale verranno fornite tecniche per la comunicazione efficace e la gestione delle relazioni.

 

Il corso si svolgerà presso l’UNIVERSITÀ CIVICA “A. SACCHI” NETTUNO avrà una durata di 150 ore complessive, orientativamente da Ottobre 2018 a Giugno 2019.

 

Per maggiori informazioni direttore.unicivica@gmail.com

 

Io E Le Emozioni In Un Passo A Due!

Voglio condividere un’esperienza nuova di gruppo che ho vissuto. Ho partecipato ad un lavoro di gruppo di psicoterapia a indirizzo psicodinamico e ho avuto modo di interrogarmi su ciò che per me è il silenzio.

Cos’é un gruppo di psicoterapia?

Ci sono varie tipologie di gruppo e tecniche differenti che vengono utilizzate dal conduttore mentre si lavora. Il lavoro in gruppo è:

«un processo attraverso il quale venire incontro alle particolari esigenze relative ai bisogni individuali e di gruppo, basato su una visione della persona come entità in costante interazione e rapporto con gli altri» (Benson, 1993, p.23).

Il gruppo è generalmente costituito da un massimo di quattordici partecipanti, seduti in cerchio, in modo da poter avere il contatto visivo l’uno con l’altro (Giusti, Montanari, Iannazzo, 2004).

Il gruppo psicodinamico

Così come per altre tipologie, il gruppo psicodinamico è condotto da un terapeuta, il quale agevola i partecipanti, effettuando delle riformulazioni sulle riflessioni che ciascuno ha condiviso. Questo tipo di gruppo differisce da quello gestaltico, che frequento regolarmente, per alcuni aspetti, tra cui la regola fondamentale che ognuno deve parlare per sé e nessuno deve esprimere il proprio parere su ciò che è stato appena condiviso da un membro del gruppo. In una dinamica di questo tipo si creano dei momenti di silenzio, più o meno lunghi, che ciascun membro vive e sperimenta in modi differenti.

Sentire il silenzio

Durante questa esperienza Ho sentito il mio silenzio, e citando il dott. Antonio Iannazzo:

il silenzio è presenza.

Il silenzio non è assenza di qualcosa, è presenza, è vicinanza, anche all’interno della relazione terapeutica. Per poter entrare in contatto vero con l’altro, si ha necessità di comprenderlo. La comprensione presuppone una condizione fondamentale che è l’ascolto dell’altro, inteso come apertura dell’Essere nei confronti del mondo, e non può esistere un ascolto autentico se non ci si mette in una disposizione silenziosa alla comprensione dell’altro (Guido, Motta, 2008).

Cosa posso prendere dal mio silenzio?

Nel mio silenzio ho trovato pace e quiete, curiosità e confronto, che mi hanno portata a riflettere e porre attenzione su quelle che sono le mie emozioni e su quello che invece sono i vissuti e i sentimenti degli altri. Fare i conti con il proprio silenzio non è semplice, potete immaginare com’è stare con il silenzio dell’altro? Il lavoro del terapeuta è anche questo, saper stare in silenzio con l’altro, e per farlo si deve necessariamente lavorare su se stessi.

Ballare nel gruppo con le mie emozioni

Durante gli incontri di gruppo il lavoro è intenso. Alcune volte mi capita, anche se non lavoro io direttamente, di sentire delle forti emozioni. L’esperienza di gruppo per me è la traduzione fenomenologica di ciò che è la psicologia della Gestalt: “il tutto è più della somma delle singole parti”.

Il gruppo fa da cassa di risonanza per le emozioni, ogni incontro è speciale, è unico e per me è come se ogni volta fosse la prima volta, con la consapevolezza che il legame e la fiducia con esso si rafforzano sempre di più. Quando sono seduta in cerchio nel gruppo, come in un passo a due di danza, io e le emozioni iniziamo a volteggiare, strette come in una presa del ballerino che sostiene la sua partner; ed è qui che inizia la mia sfida, il mio allenamento.

Verso il MIO passo a due

Danzare in un passo a due è lasciarsi permeare con l’altro e allo steso tempo aver chiaro il proprio confine, arrivare ad avere una padronanza della tecnica e una sintonia con il partner tale per cui la variazione agli occhi dello spettatore sembra la cosa più naturale che due esseri umani possano fare insieme. Questo è quello che voglio, questa è la mia sfida, questo è quello per cui mi alleno: portare nella relazione d’aiuto il mio passo a due!


Bibliografia

Benson J.F., Gruppi, organizzazione e conduzione per lo sviluppo personale, Roma, Sovera, 1993.

Giusti E., Montanari C., Iannazzo A., Psicoterapie integrate. Piani di trattamento per psicoterapeuti con interventi a breve, medio e lungo termine, Milano, Masson, 2004.

Guido A., Motta S., Fenomenologia del silenzio lungo il “confine di contatto”, in “Psychofenia”, vol. XI n. 19, 2008.

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